lunedì 29 dicembre 2014

Robert Johnson. Il punto di partenza, il patto, gli schiavi, la politica, il tabacco, l'inizio di una strada tutta da percorrere.






ossessionato dal demonio, protagonista di una vita errante e solitaria, immersa nel peccato e nella perdizione.





Il blues classico è musica dell'urbe, eseguita da cantanti di colore reclutati dalle case discografiche nei teatrini vaudeville, nei "medicine show" o direttamente nelle zone del Delta, i quali "tradiscono" lo spirito originario e ne fanno strumento commerciale. Le storie raccontate dalle canzoni di classic blues sono spesso strutturate ad arte da parolieri pseudoprofessionisti, così da adattarsi al gusto estetico dei bianchi, ed esprimono le rinnovate istanze dell'uomo di colore, che, ormai formalmente libero, aspira alla completa integrazione. Il blues classico diviene fonte di guadagno per le case discografiche (è più facile vendere quel tipo di storie alla borghesia bianca) e trova tra gli interpreti di punta sicuramente Ma Rainey, Bessie Smith, Ethel Waters.
Dall'altra parte, si sviluppò (o per meglio dire continuò la sua tradizione) il country-blues, che ebbe il suo epicentro artistico intorno alle zone agricole del delta del Mississippi e della parte orientale del Texas, nella Louisiana. Musicalmente più sgraziato (gli interpreti non disponevano delle orchestrine musicali degli artisti di classic blues), si riallacciava allo spirito sincero e tradizionale della musica nera, non ancora corrotto dall'affarismo delle case discografiche. In questo contesto, gli artisti più significativi furono, Charley Patton, , Skip James, Son House, primo maestro di Robert Johnson. L'immaginario e la potenza immaginifica che questa musica racchiude sta nel disagio sociale e nella sofferenza come primo elemento e  dall’emarginazione della società americana di inizio Novecento e della sua non benevola predisposizione nei confronti dei neri. Il bluesman viaggia in lungo e in largo per l'America (ecco allora la ballata ferroviaria), cerca di guadagnarsi da vivere in modi non sempre leciti (ecco allora la violenza e le carceri), trova l'amore o il sesso che altro non può essere che occasionale, visto il suo vivere ramingo (ecco, allora, le canzoni d'amore, i mariti traditi, le zuffe), affoga nell'alcol i suoi peccati, canta la morte, non come punto di passaggio verso le gioie del paradiso, ma come termine materiale della vita terrena e delle sue sofferenze. Nel periodo che intercorre tra gli anni 10 e 20 del secolo scorso, il blues diventa vero e proprio genere musicale, articolandosi in classico e rurale (country-blues). Robert Johnson rappresenta la figura primaria dell'artista maledetto, l'uomo a cui il diavolo ha donato la chitarra e rubato l'anima, compositore di litanie malate dove emergono figure e descrizioni come polvere, corvi, prigioni e ferrovie, spose violate e ira, le azioni, i sentimenti, la disperazione. Nato a Hazlehurst nello stato del Mississippi l'8 maggio 1911 (ma non ci sono certezze) dalla relazione extraconiugale della madre, Julia Dodds con Noah Johnson, uomo conosciuto dopo che il marito, Charles Dodds jr, dovette allontanarsi per sfuggire a una vendetta personale. Già in tenera età, Robert si dimostrò interessato alla musica e infatti imparò precocemente a suonare l'armonica, da autodidatta, prima di dedicarsi alla chitarra, con il fratello a impartirgli i primi rudimenti. (Le notizie riguardanti la vita privata di Johnson sono poche, e non del tutto attendibili). E' abbastanza certo che verso il 1930, dopo aver trascorso qualche anno a Memphis, si sposò e si trasferì con sua moglie Virginia Travis a Robinsville; Virginia morì giovanissima, ad appena sedici anni, durante il parto del primogenito. Da quel momento, Johnson iniziò a vagare tra le varie città del delta del Mississipi, forse per lenire quel dolore e dare un nuovo senso alla propria vita, incendiando le anime con la sua musica infuocata e simbolica, incarnando alla perfezione la figura del bevitore donnaiolo, cantore nero dall'inferno. Robert Johnson morì giovanissimo, il 16 agosto del '38, a Greenwood nel Mississippi, a 27, anni, in giovanissima età. Come le altre future rockstar, e non poté che morire giovane, perché così era scritto, perché è così che si inabissa il genio e la sregolatezza, perché forse una morte "normale" non è dei grandi, o forse solo perché il suo modo di vivere non poteva avere epilogo diverso. Morì tragicamente nel mistero, forse avvelenato dal whiskey clandestino, forse barbaramente accoltellato da un marito geloso, convinto che il bluesman corteggiasse sua moglie. Agonizzò per alcuni giorni prima del decesso, si dice avesse utilizzato le sue ultime forze per scrivere una sorta di testamento, e una frase in particolare: "So che il mio Redentore vive e mi richiamerà dalla tomba". L'immagine del demonio è una costante ossessiva nella sua musica, come in "Me And The Devil Blues": "Early this moring/ When you knocked upon my door/ I said, Hello, Satan/ I believe it's time to go" ("Questa mattina presto/ quando hai bussato alla mia porta/ ho detto: "Buon giorno, Satana/ credo sia ora di andare").
La presenza del diavolo nelle canzoni dei bluesman del delta e di Johnson, in particolare, può essere decodificata servendosi di una duplice chiave interpretativa: una è quella della sfera personale relativa ai comportamenti e alle azioni. Johnson, bevitore donnaiolo e amante del sesso fine a se stesso, incontra il peccato e se ne lascia dominare, conosce quindi il diavolo che di peccare gli offre la possibilità e che nel peccato si incarna. Trasgressore incallito, viene più volte a patti, ne ha paura, perché è consapevole della sua potenza distruttrice, della sua capacità di offrire soddisfazione immediata, ma dannazione eterna. Sa che per ogni peccato compiuto il demonio reclamerà un pezzo d'anima. Il secondo livello interpretativo si serve della visione del tessuto sociale dell'America puritana di inizio Novecento, dove predicatori e comunità religiose costruiscono le fondamenta del proprio vivere quotidiano sui dettami di Dio, del lavoro, del rispetto per il prossimo, ma anche sulla negazione della diversità. Comunità che della minaccia del peccato, del demonio che lo offre e della dannazione eterna che dall'accettazione ne deriva, hanno fatto strumento di controllo sociale, potente calmiere più di una qualsivoglia punizione corporale. Tra le pieghe di questa rigida visione, si insinuano le contraddizioni e le tensioni più acute, derivanti dal forte contrasto tra l'impegno formale a vivere secondo i dettami della religione (Dio) e la realtà fatta di tentazioni, trasgressioni e colpe (Satana). Ernie Ortle e Robert Johson composero la maggior parte del materiale in appena cinque giorni a San Antonio, verso la fine di novembre del '36, all'interno del Blue Bonnet Hotel o del Gunter Hotel (anche su questo ci sono ricostruzioni storiche discordanti). In questa prima trance videro la luce 16 canzoni: "Kindhearted Woman Blues", "I Believe I'll Dust My Broom", "Sweet Home Chicago", "Rambling On My Mind", "When You Got a Good Friend", "Come On In My Kitchen", "Terraplane Blues", "Phonograph Blues", "32-20 Blues", "They're Red Hot", "Dead Shrimp Blues", "Cross Road Blues", "Walking Blues", "Last Fair Deal Gone Down", "Preaching Blues (Up Jumped the Devil)", e "If I Had Possession Over Judgment Day". Finite le registrazioni, Johnson tornò nel Mississipi, per poi registrare a Dallas, nel giugno del '37 i restanti pezzi, tra cui "Hellhound On My Trail", "Drunken Hearted Man", "Me And The Devil Blues".
Ventinove canzoni con la C maiuscola, che segnano un'evoluzione rispetto alle soluzioni dei bluesman del periodo, nella veste di un suono vibrante e dinamico, che si manifesta nella capacità di Johnson di presentarsi con la sola chitarra all'assenza di strumenti ritmici. La chitarra è ritmica e solistica allo stesso tempo. Veri e propri rock'n'roll ante litteram sono, ad esempio, le esplosive "Preaching Blues" e "32-20 Bles, They're Red Hot", la più compassata "Walking Blues" e la bellissima "Stones In My Passway". Altrove Johnson ha letteralmente inventato il blues-rock moderno post-bellico, come nella celeberrima "Sweet home Chicago".
In alcuni pezzi, compie un'operazione di completa disintegrazione dell'armonia e del ritmo (della forma-canzone quindi), in un continuo alternarsi e rincorrersi di accordi e mugolii. A volte il bluesman non canta, ma mormora, come se stesse narrando a se stesso l'immane solitudine. Esemplificativa è, in questo senso, "Come In My Kitchen", che suona a-musicale, anche per il monotono soliloquio di Johnson. Alcune testimonianze raccontano addirittura di un piccolo complessino rock'n'roll che Johnson mise in piedi appena prima di morire, con batteria e strumentazione elettrica (pick-up elettrico per la chitarra), ma su questo non c'è alcuna certezza.

(La musica di Robert Johnson è un unico calvario verso l'inferno dell'anima. Egli canta di un mondo senza salvezza, senza possibilità di redenzione, dove i peccati sono il prezzo da pagare alla prepotente sete di soddisfare le intime pulsioni umane. La sua musica è un'affascinante ricerca del senso della vita, del perché l'uomo desideri più di quello che ha, degli istinti che muovono l'individuo a tradire, uccidere, mercificare se stesso. La soddisfazione per Johnson non risiede nell'ottenere queste riposte (impossibile), ma nel vagare e lottare per ricercarle. In "Cross Road Blues" confluiscono tutti i temi della poetica dell'artista, Dio, a cui Johnson chiede aiuto e pietà per i peccati commessi, ma per tentare un'ultima carta più che per vera fede , il buio, metafora di Satana che inesorabilmente sta giungendo a reclamare la sua anima, e nel crocevia, nell'amletico dubbio tra la redenzione e salvezza, la volontà di avere una donna vicino a sé, o meglio "una donnina piena d'amore", che gli allevi la pene dell'animo prima della dipartita.
Pur avendone timore, Robert Johnson era in buoni rapporti con il diavolo, perché era consapevole di essere perduto, e ne era addirittura l'incarnazione nei rapporti con l'altro sesso. Possedeva un fascino incredibile; si presentava nei locali con la sua musica vibrante, con le sue storie allucinate, e riusciva a conquistare i cuori delle donzelle ammaliate dal suo stile di vita, così antitetico rispetto alla monotonia del quotidiano, come canta in "Stop Breakin' Down Blues": "Stuff I got'll bust our brain out baby/ It'll make you lose your mind" ("La roba che ho ti farà scoppiare il cervello bambina/ ti farà perdere la testa")). Proprio questo è invece Robert Johnson, questo è il blues e perciò se ne intravede il fantasma anche in musiche che non lo chiamano in causa in modo diretto. Questo è Robert Johnson, questo è il blues, e artisti come Jim Morrison, jimi Hendriz,  Janis Joplin, Nick Cave, Simon Bonney, Kurt Cobain, Layne Staley, tra gli altri, godranno di gloria imperitura perché ne incarnano lo spirito, al di là delle opinioni critiche dei mille saccenti di turno.
La musica di Robert Johnson è la musica del peccato.  
Oggi Marylin Manson dice di essere il diavolo in persona o suo fratello gemello ma in realtà questa sorta di filosofia di vita fa parte di un personaggio grottesco e teatrale, un genio senza dubbio, ma che con il diavolo più che un patto ha firmato un contratto di lavoro… Per capire realmente fin dove arrivi la presenza dell’oscurità, l’heart of darkness conradiana della storia della musica, bisogna risalire alle radici, al blues, figlio delle “work songs” che perdono la loro caratteristica collettiva per diventare un canto individuale.
Si dice che il blues sia la musica del Diavolo. Può sembrare strano che nel sud nero degli anni venti e trenta, dove l’attaccamento alla musica gospel, la musica di Dio, era il cuore della comunità, i cantanti blues fossero i veri puritani. Essi, infatti, avrebbero potuto rinunciare al blues, ma erano gli unici a credere veramente nel Diavolo. Essi lo temevano forse proprio perché lo conoscevano bene. La loro condizione di libertà solo formale, dopo la fine dello schiavismo, era una sconfitta. Gli inizi del secolo risentivano fortemente delle contraddizioni dei secoli precedenti. Nonostante il Bill of rights (1791), il sistema schiavistico non mutò, ma anzi venne riconosciuto come elemento fondante dell'economia americana.  

Scheda Tecnica 

Chitarre: 

Gibson L-1 (acoustic guitar).


martedì 23 dicembre 2014

Jimi Hendrix: magia, incanto, suono e sregolatezza








Hendrix, una vita vissuta dall’alba al tramonto. Il mago, lo stregone che ha incantato e cambiato allo stesso tempo il mondo della musica. Una vita vissuta dall’alba al tramonto, dal giorno alla notte, il tutto che prende forma all’interno di un puzzle complicato, dove i pezzi si incastrano seguendo una sequenza logica che prende la sua forma tra gusto e sofferenza, sentimento e passione, spiritualismo e voodoo, lsd, acidi e funghi allucinogeni. Con la sua morte svaniscono i sogni dell’età dell’acquario. Un musicista, un visionario che rivoluzionerà totalmente il mondo della chitarra.

Jimi Hendrix l’uomo, la chitarra che ha scritto la storia del rock. Il musicista di Seattle che ha completamente cambiato l'approccio, lo schema della chitarra elettrica, per molto tempo lo strumento principe e incontrastato del rock, colui che  ha dato a questo genere un’impronta di pura adrenalina ed un approccio selvaggio, che lo caratterizza da ogni altra espressione musicale. Più del piano di Jerry Lee Lewis o di Little Richard (con cui Jimi Hendrix ha suonato come session man per un breve periodo, tra l'altro). Con il suo estro, Hendrix ha elaborato una rivoluzione totale/copernicana dello strumento, forse, solo alle innovazioni apportate, al modo di suonare la sei corde. Con Hendrix, il feedback diventa un'arte, non più un fastidioso difetto. Nelle sue mani, la distorsione è spinta ai massimi limiti, è potenza e delicatezza, musica e rumore. Con Hendrix cambia tutto, le linee melodiche e armoniche della chitarra elettrica si intrecciano e si fondono con naturalezza e perfezione come mai in precedenza. Hendrix è un ciclone che attraversa la scena del rock, con lui contano soltanto il suono e l'immagine, la forma ed anche i contenuti che contenuti!!!!! Hendrix è allo stesso tempo un eccellente chitarrista ritmico e un grande solista - precursore di tanti chitarristi della storia e RE indiscusso della chitarra elettrica della storia del rock. La sostanza della sua musica, ciò che lo contraddistingueva era il fatto che la sua anima andava oltre l’eseguire assoli in quantità, nel suo approccio allo strumento anche da un punto di vista tecnico, tutto aveva un perché, un senso logico. La magia della sua musica era riconducibile alla sua vita che si concluse tragicamente. Mori il 18 settembre 1970: fu trovato privo di vita sul letto di una stanza del Samarkand Hotel di Londra, stroncato da una dose eccessiva di barbiturici e altre sostanze narcotiche. (La sua morte, è ancora considerata "misteriosa" come un po' tutte quelle delle rockstar). Intorno al suo patrimonio si è scatenato un circuito di operazioni speculatrici strettamente legate al marketing. Anche dopo la morte il grande chitarrista nero è stato manipolato da impresari discografici senza scrupoli. Jimi, infatti, fu uno degli artisti più spremuti dall'industria discografica, che continuò a pubblicare a getto continuo ogni sua sorta di esecuzione. Superando il lato commerciale e il valore dei suoi dischi, il musicista americano segnò la storia del rock inventando un nuovo stile di suonare la chitarra, uno stile vulcanico, che ruppe con la tradizione e aprì nuove frontiere alla sperimentazione sugli strumenti musicali in genere.


Nato il 27 novembre 1942 a Seattle, James Marshall Hendrix comincia a suonare la chitarra a undici anni, poco dopo la morte della madre. A 16 abbandona gli studi e comincia a sbarcare il lunario suonando con complessi di rhythm and blues e di rock'n'roll. Dopo aver svolto il servizio militare come paracadutista, a 21 anni inizia una intensa attività da session-man. Diventa il chitarrista di Little Richard, Wilson Pickett, Tina Turner, King Curtis. Nel 1965 al Greenwich Village forma il suo primo gruppo e firma un contratto e comincia a esibirsi con regolarità. Jimi è già padrone di una tecnica superiore, il blues scorre puro lungo le corde della sua chitarra, ma l'America rapita dal beat è tutta presa dai suoi giovani fenomeni bianchi. La fama del prodigioso chitarrista giunge però alle orecchie di Chas Chandler, ex-Animals, manager a New York in cerca di nuovi talenti. Chandler lo porta con sé a Londra, dove lo introduce nel colorato mondo del flower-power inglese, propiziando l'amicizia con Donovan. Hendrix conquista l'Europa col blues elettrico, dilaniato e lancinante dei singoli "Hey Joe" e "Purple Haze", cui fanno seguito un paio di tour, nel corso dei quali l'entourage del chitarrista alimenta l'immagine di Hendrix personaggio mefistofelico, dedito alle più estreme esperienze di droga e sesso. Jimi sta al gioco infiammando le platee con un repertorio coreografico e bizzarro che è diventato parte integrante del suo mito: la sua Fender Stratocaster è, di volta in volta, la proiezione del suo membro, oppure compagna di torridi amplessi elettrici, suonata coi denti, i gomiti, gli abiti, strofinata contro l'asta del microfono o contro le casse alla ricerca del feedback più corrosivo e altri vari effetti. Nel 1967. Dopo svariate e sfortunate avventure nel suo paese natale, Hendrix, sotto la guida di Chandler, vola verso il Regno Unito, dove gli vengono affiancati due musicisti: il bassista (di ripiego, in realtà il suo strumento è la chitarra) Noel Redding (di recente scomparso) e il batterista Mitch Mitchell. Nasce la Jimi Hendrix Experience, una delle band più importanti della storia del rock. E' proprio il 1967 l'anno del Festival di Monterey, dove un Hendrix semisconosciuto brucia e distrugge per la prima volta la sua chitarra, lasciando tutti allibiti, in primo luogo gli altri chitarristi presenti al raduno (c'erano, fra i tanti, Pete Townshead ed Eric Clapton, considerati all'epoca i numeri uno).

Le canzoni di Are You Experienced appaiono complete anche se ascoltate con chiavi di lettura diverse, dal lato più tecnico a quello più prettamente artistico o d'ispirazione compositiva. Un album che ha avuto un'importanza storica, e ci ha lasciato una manciata di gioielli che oggi fanno parte dei classici del rock. Basta pensare ad alcuni titoli come ad esempio: "Hey Joe",  con quell'intro di chitarra sulla pentatonica di mi (anzi mi bemolle, visto che Hendrix suonava quasi sempre con la chitarra scordata di un semi tono, sia per poter adeguare le sue limitate capacità canore alle canzoni, sia per rendere la chitarra più maneggevole, soprattutto nell'esecuzione dei bending) che ha lasciato un segno indelebile. Oppure "Purple Haze", uno dei riff più celebri di sempre, accompagnato da una batteria meravigliosa  che  esplode con un giro tipicamente blues ma arricchito armonicamente dagli accordi usati da Hendrix. Questo album non è solo fuoco e fiamme : "The Wind Cries Mary" è una dolcissima e malinconica ballata elettrica, come se ne vedranno molte in futuro; "May Be This Love" e,  "Third Stone From The Sun", mettono in luce quella che era la componente psichedelica di Hendrix, (che, anche nei dischi successivi avrà una notevole influenza sull'arte di Jimi); "Red House", ovvero, come si suona il blues elettrico senza perdere il pathos tipico di questo genere. Con ciò non cambia la sostanza: Are You Experienced? è, come già detto, un album seminale, un disco che ha gettato le basi per buona parte del rock fino ai giorni nostri. 


Festival di Monterey, 18 giugno 1967: al termine della sua estenuante esibizione (con una versione demoniaca di "Wild Thing"), dopo aver bruciato la chitarra, Hendrix riceve gli applausi del pubblico adorante. La sua Fender, simbolo è fallico, idolo sacrificale, immolata sull'altare del palco al termine dei suoi concerti, con tanto di roghi e distruzioni selvagge, diventa la più potente icona del rock.  Insieme ai concerti al Fillmore East e a Woodstock, e al precedente Are You Experienced?, Electric Ladyland rappresenta il top della musica di Hendrix è un disco centrale nella storia del rock. E' l'occasione anche per cogliere  il senso delle canzoni, sempre inquiete, piene di riferimenti alla morte, alla religione, alla magia e al soprannaturale. "I miei testi nascono spesso dai sogni che faccio - aveva raccontato -. Ad esempio 'Purple Haze' è la ricostruzione di quando ho sognato di camminare sott'acqua". E le ballate blues mettono in luce tutta la compostezza del suo canto, che riesce ad essere insieme limpido e lancinante, calmo e sofferto, acido e caldo. Già nel 1968, comincia il declino fisico, morale e artistico di Hendrix. L'Experience inizia a consumarsi. E lo stesso chitarrista sembra più dedito agli atteggiamenti provocatori che alla musica. Note furono le sue scappate in Svezia dove devasta una camera d'albergo e finisce in manette. L'anno dopo si separa da Chandler e viene arrestato altre due volte. In seguito si trasferisce a New York, dove frequenta le "Black Panther". Ma il palco è ancora il suo regno. Ad agosto, trionfa a Woodstock con una versione dissacrante e sfregiata dell'inno americano ("Star Spangled Banner"), mimando con la chitarra i bombardamenti del Vietnam. La sua smania di libertà lo porta ad eccessi continui. "Sono gentile con le persone finché non cominciano a urlarmi intorno - racconta in un'intervista a Melody Maker -. Qualche volta vorrei mandare al diavolo il mondo, ma non è nella mia natura. Quello che odio è la società di oggi, con le sue relazioni di plastica e i suoi compartimenti stagni. Io rifiuto tutto questo. Nessuno mi ingabbierà mai in una scatola di plastica". Ma Jimi comincia a sentirsi stritolare dalla macchina del successo di cui lui stesso è stato un docile ingranaggio. E l'angoscia gli cresce dentro. L'ultimo Hendrix è "un musicista solo e visionario, pronto a volare ancora più in alto come Icaro, fino a bruciarsi le ali, distrutto e consumato dagli eccessi nel disperato tentativo di non replicare se stesso di fronte a chi gli chiede prove della sua divinità". E lui, il suo testamento, lo aveva già scritto: "La gente piange se qualcuno muore, ma la persona morta non sta piangendo. Quando morirò voglio che la gente suoni la mia musica, perda il controllo e faccia tutto ciò che vuole".                          




 

Jimi Hendrix scheda tecnica. (Chitarre, Amplificatori, effetti, corde ecc..... )
Accordatura e scalatura delle corde
Jimi è solito usare l'accordatura standard, ma nelle vesti di cantante privilegia l’accordatura mezzo tono sotto (Eb) per facilitare l’uso della voce. Le informazioni riguardanti le scalature utilizzate sono più oscure ed è necessario affidarsi ai racconti di alcune persone che sono entrate in contatto col chitarrista. Le corde maggiormente utilizzate sono le Fender Rock 'N' Roll light gauge che prevedono la scalatura .010, .013, .015, .026, .032, .038. 
  
Plettri e tracolle Hendrix usava plettri medium, Era solito portare in tour moltissimi plettri diversi, così come un enorme numero di tracolle, tutte differenti, in modo da abbinarle alle camicie di scena.

Chitarre

 (Tutte le chitarre citate sono destre, usate da mancino. A tutte Jimi apporta delle piccole modifiche. In particolare sulla Stratocaster inverte il capotasto ed è solito montare il Mi basso al contrario sulla meccanica per evitarne la fuoriuscita dalla sede). Jimi Hendrix è stato uno dei più grandi chitarristi della storia e grazie alla sua enorme vena artistica probabilmente anche il più importante compositore della sua generazione. Per questi motivi, i suoi numerosi fan si chiedono spesso quale potesse essere la sua chitarra preferita. Da varie ricerche effettuate, risulta che la prima chitarra acustica, molto economica, gli fu regalata dal padre quando aveva circa 11 anni. Jimi comprò la prima chitarra elettrica solo a 17 anni: era una Supro Ozark bianca a pickup singolo. Successivamente passò alla famosa “Betty Jean”, una Silvertone Danelectro rossa a pickup singolo che scambiò nel 1962 con una Epiphone Wilshire a pickup doppio col corpo e il manico in mogano. Nel 1964, quando suonava con gli Isley Brothers, comprò la sua prima chitarra Fender: una Duo-Sonic gialla del ’59. Nel 1965 suonando con Little Richard usava una Fender Jazzmaster, poi ritornò alla Duo-Sonic quando era chitarrista nei Curtis Knight and the Squires, per poi ritornare alla Fender Jazzmaster in seguito. Da notare che Jimi Hendrix non passò mai molto tempo come chitarrista nelle varie band che lo assumevano: già a quei tempi possedeva delle incredibili capacità tecniche e finiva col rubare la scena ai vari gruppi che finivano così col licenziarlo. In compenso la sua fama crebbe enormemente. Nell’estate del 1966 Hendrix acquistò la sua prima di molte Stratocaster col manico in palissandro o in acero; da lì iniziò ad usare soprattutto Fender Stratocaster a paletta larga. Logicamente, dato il suo lavoro, Jimi Hendrix ha acquistato e suonato una quantità notevole di chitarre, anche molto diverse fra loro: oltre a quelle già citate, ha avuto una Gibson ES-330, una Gibson Firebird, diverse Rickenbacker, una chitarra elettrica Mosrite, un basso Hagstrom a 8 corde e un basso Rickenbacker, una chitarra acustica Guild a 12 corde, una Black Widow Spider acustica, una Mosrite a doppio manico, una Gibson Flying V del ‘67, una Gretsch Corvette, una Guild Starfire Deluxe left handed (infatti Hendrix era mancino), una Hofner elettrica, una Gibson Les Paul del ‘55, una Gibson Dove acustica, una Martin acustica, una Gibson SG Custom del ‘68 e una Gibson Flying V nera per mancini. Il fatto che Hendrix abbia avuto così tanti modelli, la sua dote unica gli ha permesso di suonare con grande passione ogni tipo di chitarra, anche con stili diversi: pur essendo conosciuto da tutti per i suoi spettacolari assoli e le sue incredibili innovazioni, Jimi è stato uno dei migliori chitarristi ritmici della storia ed anche un talentuoso suonatore di basso; inoltre era anche un maestro nel suonare la chitarra acustica, usando le corde in una maniera che fino ad allora nessuno era mai riuscito ad immaginare. Questa combinazione di talento e di abilità ha prodotto un uomo che verrà ricordato come il santo protettore della chitarra rock, un eroe moderno della musica che resterà nella storia per sempre.



Amplificatori
  1. Hendrix ha sperimentato sistemi di amplificazione diversi nella sua carriera, alla ricerca del suono perfetto. Come dice Eric Barrett, suo roadie prima e manager poi, il suo suono fu al 99% Marshall, ma la strada che portò a scegliere i full stack inglesi fu un processo a eliminazione. Ha posseduto un amplificatore Silvertone con cassa abbinata 2x12 intorno al 1961, anche se in quel periodo usava farsi prestare amplificatori per i concerti.
  2. Dal 1965, con gli Isley Bros, il suo amplificatore principale fu un Fender Twin e in seguito provò amplificatori Orange, come aveva visto usare ai Pink Floyd, ma da nessuno di questi riusciva a ottenere il suono che aveva in testa: la vera svolta arrivò con gli Experience. Durante l’Experience, tour che ebbe inizio nel febbraio del '68, Hendrix usò dei Fender Dual Showman, dei Marshall, e poi testate da 100 watt Sunn Coliseum, con cabinet 2x15 Sunn. Foto di scena di quel periodo mostrano Jimi usare un assortimento di Sunn, Fender e Marshall. Hendrix interruppe il suo rapporto con Sunn e iniziò a usare quasi esclusivamente Marshall. "Jimi è stato utilizzato per i grandi numeri", spiegò Munger, ma quando interruppe il contratto fu chiaro che gli amplificatori non gli piacessero. Hendrix passò quindi a utilizzare esclusivamente amplificatori Marshall 100 watt Super Lead a pilotare due cabinet 4x12. Presto il suo setup contò tre testate da 100w e sei casse 4x12. Jimi usava collegare la chitarra al primo amplificatore e ponticellare le altre testate in serie, sfruttando gli ingressi separati delle plexi. Suonando praticamente sempre al massimo volume, i suoi amplificatori e valvole avevano vita breve. 
  3. Eddie Kramer, (il tecnico del suono dell’Experience), ricorda che le testate furono equipaggiate su richiesta di Jimi con valvole finali KT66, che producono un suono più grosso e nitido rispetto alle classiche EL-34 delle testate 1959 SLP. Marshall equipaggiava le sue casse con dei Celestion con magnete in Alnico da 20w, utilizzati anche da altri produttori come Vox (senza la caratteristica campana blu). Non erano però sufficienti a reggere la pressione sonora della Plexi che, a pieno volume, ruggiva fino a 140w nominali. Marshall utilizzò dei nuovi speaker dotati di magneti ceramici, i G12M-30, rinominati Greenback per il colore della campana e forniti in due versioni, 55 Hz e 75 Hz per una differente risposta timbrica delle basse. È molto probabile che fu la versione 55Hz a essere scelta, nonostante nella prima fase del tuor avesse usato anche i JBL 120F. Quello che è certo è che lo speaker che richiama perfettamente il suono di Jimi è il Greenback, ora tanto amato dai chitarristi di tutto il mondo.  




Effetti
I primi effetti per chitarra erano relativamente nuovi quando Jimi si trovò a utilizzarli, molti sistemi, appena inventati divennero parte integrante del suo suono. Uno dei tratti caratteristici di Hendrix è sicuramente il pedale wah-wah. Iniziò a utilizzarlo dopo aver ascoltato il suono del filtro in "Tales Of Brave Ulysses" dei Cream. Il suo suono tradizionale era prodotto dal Vox Clyde McCoy V846 (con induttore fasel). La voce originale del Fuzz Face era prodotta da transistor al germanio, che fornivano un suono distorto molto particolare. Hendrix utilizzò da subito dei fuzzbox (il primo un Maestro), ma fu solo dopo l'incontro con un giovane costruttore di nome Roger Mayer - a Londra nel 1967 - che iniziò a usare un prototipo chiamato Octavia, un fuzzbox con circuito a doppia frequenza che sintetizzava una seconda nota un'ottava sopra la nota suonata, doppiando in effetti il segnale audio distorto. Mayer diventò allora tecnico delle chitarre nel tour del 1968 negli Stati Uniti e continuò a lavorare per Hendrix anche successivamente. Anche se il fuzzbox principale di Hendrix si associa al Dallas Arbiter Fuzz Face, Mayer ha costruito decine di fuzz per Jimi, insieme a un numero imprecisato di Octavia. Jimi sfruttò il fuzz anche per i suoni clean, abbassando il volume della chitarra per pulire il suono, ma contemporaneamente mantenendo un attacco più deciso e nitido. Il pedale Wah, per lo più Vox, si può ascoltare su Axis: Bold as Love per la prima volta. L'Uni-Vibe compare attorno al 1970. 






Jimi Hendrix --- Voodoo Child, Live '69

mercoledì 17 dicembre 2014

Ponz musica&oltre: Stevie Ray Vaughan - Anima e sentimento.

Il post 0.1 come si potrebbe definire oggi giorno. Steve Ray Vaughan fa parte di diritto del "gotha" dei chitarristi blues di tutti i tempi. Texano di nascita, Steve Ray ha recepito nel milgiore dei modi la lezione dei grandi bluesman del passato e del grande Jimi Hendrix, proponendo un blues elettrico micidiale. Soprannominato l'hendrix bianco dal fratello jimmie Vaughan. Un suono travolgente, autoritario, invadente, grezzo e proiettato in avanti che lascia la band in evidente secondo piano, tipico di tutta la produzione SRV, imitatissimo e inimitabile allo stesso tempo (e, aggiungo da chitarrista, estremamente difficile da gestire in contesti più complicati del trio blues "senza fronzoli"). Nelle sue mani c'è il sentimento di quella magia stregata che riesce a perforarti l'anima ogni istante ascolti un suo disco o meglio ancora un suo live. Di lui ho ammirato e studiato i dischi, le chitarre, gli amplificatori, i pedalini, i vestiti, i tatuaggi, le macchine, il tocco, le donne, la vita. Di lui ho cercato mille informazioni,  insomma ogni qualsiasi cosa o traccia che era riconducibile a quel chitarrista texano che mi aveva stregato anima e cuore. La domanda che mi ponevo era sempre la stessa, volevo sapere a tutti i costi da dove nasceva quel suono. Ancora ricordo la prima volta che ascoltai un suo disco, da quel giorno la musica entrò dentro di me. La potenza e la magia che uscivano da quelle mani, decisi che dovevo suonare la chitarra, avevo 12 anni. Con "Texas Flood" trovai le chiavi di un mondo nuovo. L'album in questione fu inciso nel 1983 in pochi giorni, dentro uno studio a presa diretta e costo zero, senza spendere un centesimo. Lo aiutò Jackson Browne. I primi a notarlo furono Mick Jagger e David Bowie: dissero che uno così non lo avevano mai sentito. Dissero il vero. Stevie Ray incarnava il segno dell'umanità della musica. Il concetto che doveva emergere era quello dell'essere se stessi nella musica e nella vita. La chitarra per Stevie era l'estensione della sua anima, quella fender stratocaster del 59 con la tastiera in palissandro che comprò senza neanchè provare. Secondo una sua teoria era la chitarra che sceglieva il chitarrista e non viceversa. 

Scheda tecnica:

1) Chitarre
Per anni, ho studiato le chitarre che utilizzava e scavando tra migliaia di video, interviste e vari articoli, sono riuscito ad elaborare e ad arrivare alla conclusione che le chitarre che Possedeva erano: una Stratocaster del 57 che aveva avuto da suo fratello, una Strat dell'inizio degli anni 60 con una tastiera in acero che sopprannomino' "Lenny", la famosissima strat del 59 con delle modifiche al ponte e tasti (su questa strato cambiò i tasti, mettendogli dei tasti più grandi di una gibson) una Stratocaster del '60 con la finitura Fiesta Red, e una Strat del '64 gialla con un pickup DiMarzio sulla posizione del neck , che fu modificata da Charley Wirz.Ebbe anche diverse chitarre stile "Stratocaster" fuori serie di liuteria (costruite su ordinazione), comprendenti una Stratocaster di colore bianco con pickups a forma di stick di rossetto Danelectro e una Hamiltone con scritto il nome di Vaughan intarsiato sulla tastiera di ebano, che montava pickups EMG. Sebbene fu visto raramente suonare altre chitarre al di fuori di una Strat, Vaughan in vita sua fu possessore di parecchie altre chitarre elettriche, tra cui: una Gibson ES-335 del 1958, un modello Kay Barney Kessel, una Airline del '48, una coppia di Fender Telecaster e una Gibson Johnny Smith, che uso' in "Stan's Swang". La principale chitarra acustica di Vaughan fu una chitarra a risonanza National Duolian del '28, appartenuta , un tempo, a Blind Boy Fuller.Vaughan suonava con un pesante pick Delrin 0.43.Utilizzava corde "pesanti", preferendo la scalatura:0.13,0.15,0.19,0.28,0.38 , 058.  

2)Amplificatori
 Le scelte di Vaughan riguardo gli amplificatori furono un elemento chiave del suo potente e "spesso" tono. Sul palco, fece funzionare diversi amplificatori in parallelo con combinazioni che modifico' durante tutta la sua carriera.
Agli inizi degli anni 80, usava due combo 1x15 Fender Vibroverb del 63. Il Vibroverb fu uno degli amplificatori preferiti ed amati da Vaughan, e piu' tardi, durante la sua carriera, uso'una Vibroverb per potenziare un cabinet di uno speaker Leslie. Da alcuni video, ho notato che alla fine degli anni 80, uso' un paio di combi 4x10 Fender Super Reverb della meta'degli anni 60(secondo una mia ricerca riguardo varie interviste). Qualche volta, aumentava il setup del suo amplificatore con una testa da 150 watt di un Dumble Steel String Singer. Vaughan suono' anche con vari Marshalls, sia sul palco che in studio. Agli inizi degli anni 80, usava un combo 2x12 Marshall Club And Country. Durante la registrazione di "In Step", Vaughan suonò anche con diverse testate Marshall., comprendenti un JCM800 da 100 watt e 200 watt, un Marshall Major Super P.A. e dei Super Leads. I Majors erano collegati a cabinets Marshal da 4x12 e 8x10. Altri amplificatori usati nelle sessioni di "In Step" comprendono un Fender Twin del 62, un Fender Bassman 4x10 del 59, un Fender Harvard e un Magnatone. 


3) Effetti
Per quanto riguarda gli effetti, Stevie Ray Vaughan utilizzava pochissimi pedali. Il suo effetto preferito era un (ts9)Ibanez Tube Screamer, che uso' principalmente per aumentare il suo segnale degli assoli. I suoi altri pedali per gli effetti furono un Fuzz Face, una Octavia e un Vox wah-wah. Nello studio, uso' a volte due pedali wah-wah, un "Univibe" e un unita' Fender Vibratone per effetti Leslie. 

Il tutto era sintonizzato a due mani e un grande cuore che sprigionava un sentimento che ti investiva come fosse un treno in corsa. Cosi il mio primo articolo su questo Blog l'ho voluto dedicare a te caro Stevie, spirito libero e creativo. 

Mik.


Stevie Ray Vaughan - Scuttle Buttin' & Say what! - - Live At Montreux85